La concia e la lavorazione delle pelli identificano oggi due attività diverse industriali o artigianali, così non era in passato quando il conciatore lavorava anche il prodotto finito della concia. Il processo consisteva nel rendere imputrescibile la pelle degli animali dandogli contemporaneamente flessibilità ed elasticità: a questo scopo si faceva ricorso al tannino e ai sali di cromo.
La procedura di concia era comunque altamente inquinante con ampi riflessi ambientali e aveva bisogno di considerevoli quantità d'acqua il che poneva gravi problemi per le comunità e soprattutto per l'integrità delle fonti, così lavorazioni come la concia e la tintoria erano universalmente bandite dalle fonti pubbliche o delle aree loro prossime. Un esempio sono i Capitoli di Rocca Scalegna concessi nel 1575 nei quali al Capo LIII si stabiliva che: ciascuna persona tant'uomo quanto donna, non se possa accostare alli pozzi per tre canne, et alle fonti per due canne à lavare panni, nè piedi, nè fare alcuna altra brettura.
Queste difficoltà spiegano anche il motivo della necessità di importare pellame già preparato e lavorato da paesi, come quelli balcanici, dove vigeva una radicata tradizione in questo campo: una delle entrate di queste merci era il porto di Ortona a Mare che rivela un intenso traffico in proposito.
Il 26 settembre 1366 il mercante ortonese Mataracio Angelo riceve un valore di 90 ducati d'oro tra denari e pellame che deve vendere mentre l'8 maggio 1392 Petko Ratkovich e altri caricano 60 pelli in due balle da portare ad Ortona per venderle e investire il ricavato sulla piazza di Ragusa. Il 14 maggio 1403 Andrea trasporta 86 ducati in cuoio e pelli ad Ortona e quindi a Lanciano e l'11 settembre 1565 appaiono i lombardi Gian Giacomo e Bernardo, residenti ad Ortona, spendere per l'acquisto di pelli mentre una balla di pelli risulta pagata 21 ducati. In realtà nel XVI sec. dagli atti notarili risultano molti lombardi, mercanti di pelli, provenienti da Pallanza, Cavendone, Biella e Bergamo attivi tra Ortona (area di sbarco) e Lanciano (area di vendita delle pelli).
I lombardi vendono anche loro ai vari utilizzatori infatti l'11 settembre 1567 il sellaio di Sulmona Federico Trencia acquista dal milanese residente in Ortona Giacomo Lucino 14 ducati in pelli e l'8 settembre 1569 Porzio di Mascio di Ortona acquista pelli per suole. Ancora il 26 ottobre 1652 Alberino compera 250 ducati in suole e pelli per scarpe.
Un altro centro di smercio è Vasto con il porto di Meta anche qui vi è l'importazione del prodotto finito e la lavorazione diretta delle pelli in fase di concia almeno dal 1391 quando delle concerie vastesi vi è cenno in un atto pubblico di Ladislao d'Angiò Durazzo e queste erano ancora attive nel 1503.
Anche G. M. Galanti nel 1794 annovera una piccola fabbrica di cuoia e infatti nello Stato dimostrativo di tutte le arti o mestieri ed industrie fatto comune per comune dell'ottobre 1806 risultano in Vasto due fabbriche di basti, due sellai e due conciatori tanto che sia Giuseppe Del Re nel 1835 le ricorda che il Marchesani nel 1838 il quale poteva notare: antica esser dee la concia de' cuoi e delle pelli tuttavia in pieno esercizio. Nella prima metà del XIX sec. la concia e la lavorazione era affidata alle famiglie artigiane dei De Meis, Nicola Maria e Cassiodoro.
Quando Tommaso di Paleara nel 1276 trasferì i conventuali da Campotrino dentro Guardiagrele, espropriò e fece abbattere molte case del Ghetto e delle Murene presso le quali, secondo lo storico De Luca, esistevano moltissime concerie che formavano la principale industria del paese che viene ancora menzionata in occasione dell'apprezzo del 14 agosto 1662 in quattro botteghe di scarpari.. et dieci conciatori di sole di coire.
Il cuoio venne così assumendo nell'ambito delle arti decorative un ruolo di primo piano, l'impiego non era infatti diretto solo alla selleria o alle calzature ma aveva fin dal XIV sec. un ampio utilizzo anche nell'arredo interno per fare cuscini, pianali di sedie, bauli e altro. Alcune varietà, come il marocchino ottenuto dal montone, erano di particolare pregio e anche il cuoio bulgaro di Russia che utilizzava per la concia la corteccia di betulla, salice e pino assumendo un caratteristico colore rossastro.
Anche per l'influenza araba, nel rinascimento italiano il cuoio aveva assunta vera e propria forma d'arte decorando superfici rivestite con incisioni, rilievi e intagli talvolta dipinti a colori vivaci. La tecnica pirografica con l'impiego di una punta rovente per incidere il cuoio si affiancava al bulinato o allo sbalzo al roveschio. Il cuoio d'oro (cuoi decorati con colori e martellati su fondo dorato o, più raramente, argentato), diffuso dalla Spagna, arrivato in Italia, a Napoli e Milano ebbe largo impiego divenendo tappezzeria a Venezia dal '400 al '500. L'arte del cuoio era in Lombardia in piena fioritura e questo spiega la presenza di mercanti lombardi ad Ortona e alle fiere di Lanciano dove sbarcavano i cuoi conciati nei paesi balcanici e slavi e le lavorazioni tipiche di quelle contrade.