Il concetto di restauro, in generale, fa riferimento all'insieme delle tecniche applicabili a vari tipi di manufatti per ripararne i danni derivati dal tempo o dall'uso. Questa definizione tuttavia non ne tocca la sostanza che si manifesta meglio nel processo critico che permette di recuperare i contenuti storici o artistici di un oggetto e nella decisione, conseguente, di conservarlo come memoria per le generazioni future.
Il restauro, o meglio la conservazione, di un oggetto è quindi un momento di indagine e intervento che assume valenze culturali ed estetiche in dipendenza dello sviluppo dei procedimenti tecnici ma soprattutto in relazione al giudizio storico-critico del periodo e della società che lo determina. Il restauro deve inoltre mirare al ristabilimento potenziale dell'unità dell'opera purchè ciò sia possibile senza commettere un falso storico o artistico e soprattutto senza cancellare ogni traccia del passaggio dell'opera nel tempo.
In origine tuttavia la distinzione tra riparazione e conservazione era del tutto aleatoria e spesso, come nel restauro dei mobili o di altri manufatti minori espressione più dell'artigianato che dell'arte, questo si identificava con il semplice ripristino funzionale e fisico del manufatto prescindendo in tutto o in parte dalle sue eventuali valenze estetiche. Sarà John Ruskin (1819-1900) a intravedere l'aspetto storico del manufatto come premessa degli aspetti formali espressione ultima di una stratificazione delle varie epoche che hanno caratterizzato il percorso realizzativo, di utilizzo e manutenzione del manufatto concetto quest'ultimo precisato meglio da Camillo Boito (1836-1914) nel XIX sec.
L'idea della conservazione fisica del manufatto che prescinde dalla sua storicità appare evidente dalle motivazioni che sono alla base quasi sempre del restauro almeno fino al XVIII sec.: il frate Giovanni Maria del convento di S.Agostino di Tortoreto, al secolo Pietro Cefalo, il primo maggio 1707 lasciava ad esempio tutti i suoi beni al fratello Tommaso, che faceva l'organaro a Vasto, a condizione che fosse tenuto et obbligato di accomodare l'organo del Convento... in modo che non possa patire ma renderlo accomodato con tutti li requisiti necessari ossia la cosa importante, nel restauro, era la funzionalità dello strumento.
Lo stesso elenco delle opere d'arte contenute nel Palazzo D'Avalos a Vasto non va molto oltre un'arida elencazione di manufatti sommariamente descritti nonostante, alla luce dell'acquisita coscenza odierna queste appaiono eccezionali in quanto prodotto di pittori come Veronese, Reni, Giordano o Tiziano e Raffaello. Lo scopo dell'elenco era infatti espressione di una situazione politica contingente infatti il 13 ottobre 1701 Cesare Michelangelo D'Avalos, dichiarato ribelle da Filippo V perchè fedele al partito austriaco, era dovuto fuggire a Vienna lasciando l'incarico di recuperare i propri effetti ad alcuni famigliari che arrivano di notte tempo e imbarcano porzione di robba che trovasi nel Palazzo, ma dovettero prendere subito il largo per li soldati venuti il giorno dopo da Chieti e non si potè più prendere altra roba che era nel detto Palazzo mentre la moglie Ippolita, accompagnata dalle sue dame, andava a rinchiudersi nel convento di S.Chiara.
In conseguenza di quest'episodio il 19 luglio 1706, da Vienna, venne compilato l'Inventario delle robbe che sono nelli appartamenti di S.Altezza in cui si prescinde quasi del tutto da giudizi di merito. In realtà la città era tutt'altro che sprovveduta in questo campo e annoverava differenziazioni e specializzazioni ancora nel 1806 che, oltre ad ebanisti e impellicciatori di mobili, includeva anche indoratoridi cornici e altri oggetti in legno. Nella chiesa di S.Martino di Liscia il 13 febbraio 1764 l'urna del SS.Sacramento era infatti stata dorata dal doratore Giustino Spatocchi appunto di Vasto.
La mescolanza di tecniche artigianali diverse appare, nella medesima chiesa nel 1758 quando la statua di S.Michele arcangelo era stata restaurata o meglio ricolorita, con quella di S.Rocco, dal restauratore Felice d'Alberto di Lanciano (altrove detto di Chieti) il quale era pure intagliatore e come tale aveva realizzati anche i candelieri per l'altare maggiore. Nel luglio 1768 ancora il D'Alberto appariva come doratore della croce processionale e di altre opere liturgiche della chiesa. La lavorazione del legno proprio in Vasto offriva un buon numero di falegnamerie generiche che si dedicavano anche al restauro funzionale degli oggetti servendosi di ebanisti come il Monacelli documentato nella prima metà del XIX sec.. In ogni caso a Lanciano nel 1877, come anche a Chieti, appare già l'esistenza di vere e proprie fabbriche che travalicavano ormai l'ordinaria falegnameria.